La crema di ceci stavolta non l’avevano ben mantecata.
«C’è qualcosa che non va, non gli è riuscita bene allo chef» faccio alla mia amica-collega Melania. «Ci sono dentro ancora dei pezzi di ceci» finisco di dire mentre mastico un bastoncino di carota che ci avevano portato per accompagnare i due Spritz.
«Sei più polemica del solito» mi controbatte subito, senza neanche respirare o riflettere sulla bontà del mio pensiero.
Sbuffo. «Te l’ho già detto. Quello che vedi è la punta di un iceberg… se ti dicessi cosa ribolle dentro, sotto la cute, dentro le vene, non staresti troppo a sindacare su quanto sono polemica. Semplicemente devo trovare la direzione».
«Perché, dove vuoi andare?» mi domanda aspirando dalla cannuccia un po’ del suo drink.
«Ma no, no. Non io» mi passo una salvietta sulla bocca. «Non credo di essere io il problema. Il problema è ciò che mi è accanto, intorno, che ormai non vedo più girare insieme a me… E la questione è: sto sbagliando qualcosa, per stare come sto io, oppure Diletta è cambiata? È evoluta, è diventata qualcos’altro nel tempo?».
Prendo un attimo di respiro, mi guardo intorno nel locale. La gente sorride, chiacchiera, al tavolo accanto al nostro ci sono due tedeschi che si atteggiano come se conoscessero quel posto da anni: chiamano il padrone – in italiano – gli chiedono se la cucina ha preparato qualcosa di particolare – sempre in italiano – e poi si confrontano tra di loro – in tedesco – per scegliere infine qualcosa dal menù che pare sappiano a memoria.
«Perché alla fine si può cambiare, non è vero?» riprendo con un piglio insolitamente nervoso «così, all’improvviso, senza che ce ne accorgiamo… I desideri, le necessità, le persone! È vero, Melania, che si può cambiare?».
La mia interlocutrice, più grande di me di qualche anno e storica segretaria del presidente, non sa se annuire, dissentire, o fare altro. E, non sapendo, sul momento non mi dice nulla.
Ma certo che non mi dice nulla.
Perché, d’altronde, come fa lei a darmi una risposta?
Bevo altro Spritz mentre attendo un suo cenno, che comunque non si fa attendere troppo. Anche lei sbuffa prima di parlare. Ma lo fa più che altro per una sottile compassione solidale nei miei confronti, lo so bene. Testimonianza ne sono i 3 figli che ha cresciuto senza troppi grilli per la testa. E qualora ci fossero stati, non li ha mai dati a vedere. Quindi lei, davvero, si può permettere di fare l’amica che ascolta e che, in questi casi, deve tirar fuori le parole di conforto. Quelle che servono, che a un tratto assorbono tutta la nebbia che ti avvolge e ti porta fuori strada.
«Vedi, Diletta… Mi chiedi se si può cambiare?», la mia amica alza le spalle, «e io che posso dirti? Sì, certo, si può cambiare, anche in 24 ore. Oppure non si può cambiare mai. Come la distanza… ti sembra sconosciuta fin quando non la percorri tutta. Ecco, io credo di essere una donna dal fiato lungo, e forte nella resistenza. Ma non è detto che io sia altrettanto valida nella qualità… Alla fine saranno i fatti a parlare. A prescindere da questo, io non sono te, capisci? E se tu senti un bisogno di cambiare, un vento che ti vorrebbe scompigliare i capelli nonostante tu abbia indosso un casco ermetico che ti ingabbia…» Melania rimane fissa a guardarmi come se dovessi terminare io la frase.
Io invece infittisco lo sguardo, e inarco le sopracciglia. «Un casco ermetico che ti ingabbia… e quindi?» la esorto.
«Beh, tu attendi un attimo, e fai le tue valutazioni».
Faccio un gesto di stizza.
«Sì, certo! Aspetta e siediti così ti passa, no?» commento in modo volutamente acido.
Lei mi sorride. «No. Aspetta e siediti perché, se passa, vuol dire che non doveva rimanere là con te».