Minirotaie

Regarding life course and its intersections

Per uno strano scherzo del destino, la mia inqualificabile pigrizia, che tanto detesto quando la fisso che si annida in qualche angolo di casa, stavolta mi ha fatto un regalo.

Quelle maledette bollette. Pagate eh. Ma poi lasciate a prendere polvere sopra la piccola scrivania che ho messo saggiamente in un cunicolo del mio (già) piccolo soggiorno. Tempo di sistemarle.

Le cifre, più o meno sempre le stesse. Il telefono, il gas, la luce (no aspetta, ma da quando la luce costa così tanto? Mi ricordavo almeno la metà), e poi la tassa sui rifiuti… La tassa sui rifiuti.

Quella si paga a dicembre.

Vedo meglio: esattamente il 4 dicembre. Ma quant’era che ero così pigro? Per un momento chiudo gli occhi, sembra un film. Velocissimo vengo trasportato a pochi mesi fa, 120, 140 giorni da oggi. Corre rapido il tempo eh?

E poi il Natale, le luci, il rosso, la tavola con il centrino, i tortellini in brodo. Mando una foto dei miei a mio cugino che sta in Canda per fagli auguri di Natale.

Quando riapro gli occhi il primo pensiero è “se ci meritavamo tutto questo”.

Il secondo, è che ci meritiamo di uscirne presto.

#coronavirus #covid19 #italia

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Mi ricordo che faceva caldo. Erano le 18.30 circa.

il solito traffico di Roma a quell’ora.

Mia madre aveva provato ad accompagnare me e mio padre (tra i pochi uomini in Italia sprovvisti di patente) il più lontano possibile, ma dopo poco si accorse che i freni dell’A112 erano usurati, e incolonnandosi in una strada in salita si era aiutata col freno a mano.

Io e mio padre ci spaventammo un poco, e poi scendemmo per prendere un autobus.

Mi ricordo poco altro del tragitto.

Poi solo tanta gente. E lo stadio nuovo. E i seggiolini azzurri dei distinti sud dell’Olimpico (ma anche di altri 80.000 posti).

Erano gli ottavi, l’Italia era ovviamente in azzurro e l’Uruguay ovviamente in celeste.

L’esultanza, quella grossa, non arrivò al primo gol di Schillaci, una bordata a sorpresa dal limite dell’area. L’esultanza, quella vera appunto, arrivò al momento del colpo di testa di Serena, verso la fine della partita.

2-0!

In quell’attimo mio padre, un tifoso che ho sempre conosciuto come vero è mite galantuomo, afferrò la bandiera che tenevo per mano e cominciò a gridare e saltare con entrambe le braccia in aria.

Io, ero rimasto attaccato alla bandiera. E mi ero ritrovato in aria anch’io, all’improvviso, mentre mio padre continuava a esultare.

Belli, i mondiali del’90.

Belli tutti, i mondiali. Ma quest’anno ancora non mi sembra che siano iniziati.

E forse non inizieranno mai.

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“Ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo. E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente”.

Umorismo – L. Pirandello (1908)

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Ho letto tempo fa che la ripetitività del giorno ammazza il tempo. Lo priva del significato, del valore, del contenuto. Di quello che ha da dirci e della voglia di parlargli. Tutto si pone su uno strano asse, quello del pilota-automatico.

Ti alzi e probabilmente non sai manco perché, ma sei arrivato al lavoro. Nel frattempo hai fatto un sacco di cose. Ma sempre le stesse. E’ per questo che, da quello che ho capito, la vita scorre così veloce man mano che andiamo avanti. Man mano che ci abbandoniamo alla routine. La difficoltà ad alzarsi la mattina, le domande sul perché lo facciamo, gli occhi che bruciano, il caffè, il sapone, il deodorante.

Tanto per iniziare. Succede tutto in pochi secondi. E non ci tocca quasi neanche più il sole che, ora, sta imparando a rimanere più in alto durante il giorno.

In fin dei conti la luce è un dono.

Dovremmo allenarci a fare qualcosa di diverso, anche piccolo, ogni tanto. Non so: un profumo nuovo, una camicia appena acquistata, una nuova crema per il corpo che hai comprato nel negozio sotto casa, spinta dal vedere se c’era qualcosa che ti potesse attrarre e di cui non sapevi ancora l’esistenza.

Nuove scoperte.

Le scoperte sono nuove quando ci mettiamo nella loro direzione, e finalmente apriamo un po’ di spazio in mezzo ai nostri doveri.

Ecco perché “lasciar andare” non basta più. Perché non ce ne siamo mai accorti, ma diventava solo sinonimo di “lasciar scorrere”.

burocrazia

L’ignoto spaventa, è ovvio. E il non-sapere-cosa-ti-aspetta. E’ ciò che trovi dietro una porta sapendo che quello che hai, se non perfetto come vorresti tu, comunque va bene.

E’ una specie di assuefazione.

Ma credo che tutto questo non sia quello ciò che ci spaventa di più.

Di certo, i pilastri che dovrebbero sorreggere il nostro futuro, la nostra esistenza in Italia e in Europa, scricchiolano. E per un tratto, tutto ciò rappresenta anche il nostro ignoto.

Solo che c’è dell’altro, se per un attimo ci giriamo indietro. Il risultato è che, nonostante tutti gli sforzi, nonostante le iniziative istituzionali, a livello italiano ed europeo, volendo anche mondiale, le cose non stanno cambiando. Oggi hanno confermato che siamo di nuovo sprofondati nella deflazione. Ciò vuol dire che non si sta comprando, che si preferisce tenersi i soldi in tasca, che non c’è fiducia.

La fiducia, già.

La fiducia ce l’hanno tolta, ce l’hanno usurpata, come un qualsiasi diritto fondamentale di cui (per via anche del referendum, altro tassello che conferma l'”ignoto”) sempre più gente si riempie la bocca.

E stiamo quindi a metà, tra il resistere, e lo scappare. Tra il crederci, che prima o poi qualcosa di meglio accadrà, e l’abbandonarci a meccanismi di vita e di relazioni in cui non ci sono regole.

Difficile, infatti, parlare di regole oggi.

Perché è più difficile ancora farle rispettare.

Ci appelliamo a quella classe media che non c’è più, temendo forse di scendere ancora più a fondo, verso una classe in cui, magari, già ci troviamo senza saperlo (perché i ricchi sono diventati davvero ricchi!) ma di cui abbiamo costantemente paura, come se arrivassimo al punto di non ritorno.

Non so, se la classe media prima o poi tornerà. Quella vera, in cui tutti stavamo bene e non chiedevamo di più.

Ora pare che ci abbiano tolto il diritto a stare tranquilli.

Ma il “mollare” adesso fa il gioco di chi, senza saperlo, mosso da una quasi mano invisibile, fa il gioco loro. E, nel nostro piccolo, nel nostro mondo, vogliamo comunque vivere con delle leggi giuste, eque. Almeno nel nostro mondo. Perché, in quello degli altri, spesso la giustizia non ha più peso.

E’, come molti direbbero pur di trovare una scusa, una giustizia troppo “burocratica”.