Voi che ne pensate delle persone “prevedibili”? Ossia di quelle che hanno il futuro già scritto, e che sapete benissimo cosa faranno nei prossimi 5 minuti, mezz’ora, un giorno, una settimana, forse anche un anno?
No, non è un discorso di mera conoscenza. Anzi, il limite, la soglia, è microscopica. Perché qui tocca vedere la “forchetta”, il range dentro il quale quella persona si orienta, vive. Il massimo che può fare. E leviamo quindi le abitudini quotidiane, la colazione, il giornale o la rivista, l’orario di uscita di casa, il cibo. Ma anche il disordine, o il “caffè-lungo-macchiato”, o il programma televisivo del martedì sera. Gli argomenti in generale.
Perché non è che una persona termina gli argomenti.
Il fatto è che gli argomenti sono sempre quelli, lo sono sempre stati.
E io non me ne sono accorta.
Fino a quando, poi, comprendi che non si può parlare d’altro. Che non si può andare oltre. O che il giovedì o venerdì indosserà sempre quella stessa camicia, perché l’ultima volta che è andato a comprarne una (prezzo medio di una buona, 65 euro) è stato un paio di anni fa. E che quando si prenota al ristorante per festeggiare qualcosa, la scelta è tra i top 3: Da Romeo (pesce sotto casa), Ossi Duri (carne argentina, ristorante di una coppia – gay – amica sua), oppure Nippon (giapponese, super elegante, al centro, e con passeggiata inclusa – di max 20 minuti – prima di rientrare).
Eppure i nuovi trend del mercato certificano che il food è il settore che fa da traino per l’economia italiana. E che nasce un ristorante nuovo ogni settimana.
Io, però, ho persino paura a proporglielo.
E lo volete sapere il perché?
Perché non ne vedo il motivo essenziale, né il margine di probabilità che qualcosa cambi. E quindi inghiottisco la sua prevedibilità. Ma non mi parlate di accettazione, per favore… Già l’abbiamo visto, questo fardello che ci capita come una croce addosso alle spalle. Perché se è vero che “ognuno ha la sua croce”, qui tocca stare attenti a non averne troppe, di croci che ci appesantiscono.
Persino nei litigi, è prevedibile. Tanto alla fine io sono quella che rompe le palle.
Ecco perché dico che gli argomenti sono finiti. Quando il massimo che si può commentare, al mio modo di rompere le palle, è che rompo le palle.
Tautologico? Ridondante?
A me sembra inutile e basta. Come quando non sai bene cosa dire, abbellisci solo quello che hai. A me che, guarda caso, piace lo stile minimal. Zen. O ci sei, o non ci sei. Dentro o fuori. Emozione o noia.
ON/OFF.
Quindi, riassumendo. Come uomo, è prevedibile. E probabilmente lo è sempre stato ma, amen, ne ho preso atto solo ora. Quando facciamo sesso, come vi ho già raccontato, in pratica è come se stessi mangiando un gelato.
Se litighiamo (o discutiamo, o parliamo animatamente, fate voi) io sono la rompipalle (e basta), senza dirmi se c’è qualcosa che deve o non deve essere fatto in altro modo (secondo lui).
E, infine, il concetto di “nuovo”, sempre per lui, è scandito solo dal calendario. Giorno nuovo, settimana nuova, anno nuovo. Il resto, “same as yesterday”.
Allora non so, onestamente, se ho cominciato a disinnamorarmi di mio marito quando, quella notte sotto le lenzuola, aveva troncato fin dal nascere un’ipotesi di secondo figlio. Se in quel momento mi sono scollata con un’impercettibile lentezza che ora mi sta facendo disperdere. La risposta non può essere immediatamente chiara. È solo ciò che sento.
La cosa più frustrante, però, è che spetta soltanto a me capirlo.