Le vacanze, quelle vere, funzionano se metti un muro. È una questione psicologica ma, come tutte le cose, va fatto allenamento. Va forzata la testa a disabituarsi a pensare, a ragionare senza orari o con l’imprevedibilità della giornata. Il tempo in questo senso fa il suo percorso, bisogna solo lasciar andare l’impegno del cervello, renderlo più creativo e leggero possibile. Saprai solo alla fine se tutto ha funzionato. Te ne accorgi al risveglio del primo giorno di rientro al lavoro, quando metti il piede fuori dal letto, e quanto tempo impieghi a farlo.
Ecco, non nascondo che per questa estate il mio sforzo è abbastanza complesso. Perché, come immaginate, non c’è solo il lavoro che devo sgomberare dalla testa. A questo infatti si aggiunge l’incognita del futuro della mia relazione coniugale, con tutto quello che – immaginerete – ne consegue a danno del mio umore.
Una mia amica mi ha detto: «Senti Diletta, fagli un discorso. Abbastanza breve, serio, dove gli dici che hai bisogno di prendere del tempo per te, di stare un po’ da sola. Qualche giorno, mica un mese! E a ogni sua domanda, perché vedrai che te ne arriveranno a tonnellate, gli dici che è giusto che sia così, adesso. Che lo stai facendo anche… sì, diglielo: anche per il bene della coppia. Porta tuo figlio dai tuoi genitori, e passate alcuni giorni lontani».
Io in quel momento ero d’accordo con Francesca, ma ancora non ho seguito il suo consiglio. Forse è presto. Forse, ancora più semplicemente, si tratta di cambiare 13 anni di relazione, di schemi, di paradigmi, di aspettative e di proposte, di decisioni e di reazioni. 13 anni della vita di Diletta insieme a un uomo. E anch’io devo avere l’opportunità di metabolizzare non tanto il contenuto, perché in questo momento mi è abbastanza chiaro, quanto la forma.
Non so se, in fondo, ci sarebbe bisogno di rivitalizzare la nostra relazione, scuoterla, darle una scossa folgorante. Anche per vedere l’effetto che fa, in noi. Una nuova, forse ultima opportunità per l’intera famiglia.
Però, oggi, voglio che il mio allenamento continui. E quindi mi concentro sul cibo. Siamo in vacanza in Toscana già da 3 giorni, insieme a mia suocera e alla sorella di mia suocera. E poi ovviamente Maurizio, Francesco e Schizzo nella sua cuccetta. Perciò oggi mi sono presa del buon olio di semi di arachidi, qualche calamaro che ho tagliato a rondelle, ho fatto poi una pastella spessa, e via. Del vino bianco ghiacciato ad accompagnare. La frittura si fa così: poche parole, pochi gesti, poco tempo e ci siamo. Non serve altro. C’è giusto il profumo che aleggia fino al piccolo giardino della casa dove abbiamo apparecchiato sotto il gazebo; i rumori di alcuni bambini per strada che giocano a rincorrersi tirandosi addosso una palla; la luce bianca del sole delle 13 che dà fastidio, è vero, ma da cui non si può sfuggire. Anche questo, soprattutto questo, vuol dire estate.
Quando assaggio la prima rondella di calamaro uscita dalla friggitrice, dopo averci aggiunto un pizzico di sale, avverto uno strano calore fervere dentro la pancia. Non so bene a che altezza, ma so che è lì. Il cibo che ho preparato è delizioso, ed è bello che l’abbia fatto io e che, poi, lo assaggi subito dopo. Immagino che anche mio figlio Francesco ne sarà entusiasta. Rispetto al resto della compagnia che troverò di là… beh, non ne sono certa. Ma so anche che non si può avere tutto la vita.
Ecco: non si può avere tutto dalla vita.
E allora? Forse mi sto accontentando e basta?
No.
Ossia, non credo che questa sia la riposta da dare mentre ancora sto masticando questa fantastica frittura di calamari. Perché pare che quanto abbia cucinato, al momento, faccia quadrare molte cose. E in effetti non potrei chiedere di più, questo è il massimo che posso fare ora. Fra un po’ arriverà appunto anche il sorriso di mio figlio, e questo evento darà valore all’intero gioco che mi vede coinvolta, per ora. In fondo ho assolto bene il mio compito di mamma, ma anche di moglie, per cui ho giurato davanti a Dio, e davanti a una persona che ha officiato la cerimonia, che avrei continuato ad assolverlo.
Sì, è vero, in tanti nella loro vita hanno fatto scelte diverse. Hanno rotto un giuramento. E forse hanno avuto bisogno del proprio “là”. Come qualcuno che apre una porta.
Ecco, io credo di vederla, quella porta aperta. Solo che se ci fosse una mano ad afferrarmi e portarmi via, sarebbe anche meglio. Perché lì non è scappare, è seguire. È correre via verso qualcosa, qualcuno, che non è la Diletta vista finora.
Da sola è difficile prenderne atto, figuriamoci farlo.
In certi casi, però, non si possono decidere questi tempi a tavolino. Del tipo “ora vado”, “ora glielo dico”, “ora non mi volto più indietro”. Perché potrebbe essere una questione di tempo.
In certi altri casi invece basta una telefonata ben assestata. Che anche se è un macigno che ti cade in testa, può avere un effetto rivoluzionario. Almeno sul momento.
A volte, infatti, quella telefonata arriva eccome.
E tu non devi far altro che trovarti pronta.