Manuel parcheggia la moto, una Honda un po’ impolverata, accanto alla macchina di mia madre che, per l’evenienza, in questi giorni guido io.
«Le dovresti dare una ripulita» gli dico senza mezzi termini, indicandola.
Lui ammette. «È vero. Ha un po’ di anni, ma ancora funziona bene».
In effetti, quando Manuel mi si metteva accanto sulla strada, si sentiva la sua moto ruggire anche a bassa velocità. Non era un modello sportivo, ma comunque era elegante, bordeaux e nera, sembrava robusto. Una moto che ti porta ovunque e in poco tempo, per intenderci.
Io non ne capisco nulla, né sono mai salita su uno di questi bolidi, ma l’effetto che mi trasmetteva era proprio questo.
«È tua?» gli chiedo incuriosita.
«Sì. Ne ho un’altra in Spagna. Però è fantastico girare per le campagne italiane in moto perciò, un giorno di un paio di anni fa, ne ho comprata una di seconda mano a Saragozza e ci sono venuto fin qua. La lascio nel piccolo garage che abbiamo sotto casa. Ogni tanto il vicino, appassionato anche lui di motori, va a darle un’occhiata. Ha le chiavi, se vuole può farci anche un giro per tenere il motore allenato».
Nel frattempo io e Manuel entriamo nel supermercato. Prendiamo ciascuno due cestelli e cominciamo a girare per metterci dentro dei viveri. Dopo un po’ io ho il cestello mezzo pieno, lui invece lo ha riempito solo di bottigliette di acqua, pomodori e un paio di petti di pollo.
«Immagino che tu non abbia molto appetito in questi giorni» gli faccio sapendo di andare a colpo sicuro.
«No… Ma la verità è che non mi va molto di cucinare. Io lo faccio solo quando sono di buon umore».
«E sai cucinare?».
«Sì… O meglio, abbastanza, soprattutto la paella. Un paio di volte l’ho fatta anche al ristorante, ma lo chef si arrabbia perché pare che la mia sia molto più buona della sua».
«Davvero? Pensa, io non ne ho mai mangiata una» gli dico. Poi, subito dopo, mi mordo la lingua. Senza accorgermene avevo dato al ragazzo una ghiottissima opportunità per farsi avanti con me, con la più classica delle frasi tipo Possiamo mangiarne una insieme, oppure Quando vuoi, sei invitata a casa e te ne preparo una espressa.
Gli uomini, spesso, fanno così.
Invece Manuel azzarda un sorriso e glissa. «Vedrai che prima o poi l’opportunità capiterà anche a te» mi ribatte senza troppo pensare.
«Ma la tua casa dov’è, esattamente?» torno a parlargli mentre ci mettiamo in fila alla cassa.
Il ragazzo allora mi dà qualche indicazione. La casa è a 10 chilometri dalla costa, in un piccolo borgo dove ci sono solo una ventina di altre abitazioni. Lì intorno si trovano giusto dei contadini che producono insalate e altri prodotti della terra, mentre il borgo si riempie nei weekend o durante l’estate. Alle 8 di sera però già non si vede più un’anima in giro.
«Già è tanto se abbiamo luce e acqua» scherza.
Io gli annuisco. Sono sempre rimasta affascinata dai piccoli borghi italiani. Ma forse anche dalle gite in moto che, al pari della paella, non ho mai provato. Mentre della paella, invece, non saprei. Ma credo che neanche mi importi più di tanto. La cucina italiana mi soddisfa alquanto, soprattutto quella che faccio io.
Dopo poco usciamo dal supermercato e ci dirigiamo ai rispettivi mezzi di trasporto. In un quarto d’ora siamo di ritorno all’ospedale. Manuel caccia un sorriso meraviglioso appena rivede il padre. Lui prova a fare lo stesso con il figlio, ma per la fatica dell’intervento non gli riesce così bene e fa un paio di rantoli con la bocca. Io mi avvicino a mia madre. Do un’occhiata a mio padre, sembra tutto a posto. Poi la avviso che, dopo averla riaccompagnata a casa, userò la sua macchina per fare dei giri.
Lei si irrigidisce, fa un’espressione preoccupata che quasi mi spiazza. «E se succede qualcosa e dobbiamo correre in ospedale?» mi chiede scuotendo la testa.
«Tranquilla mamma» la tronco immediatamente «papà domani esce. E stasera non succederà proprio nulla di preoccupante».