Devo ammettere che ho un debole per le case in mattonato. L’Italia è piena di questi borghi che si attorcigliano su se stessi, regalandoti un’immagine antica, ma allo stesso tempo pregiata. Quando si vedono dall’alto, in qualche foto-cartolina, hanno un certo fascino. Ma quando poi te li trovi davanti, ti chiedi da quanti anni sono in piedi, chi le ha costruite, come sono fatte dentro.
Manuel ha appena parcheggiato la moto nella piazzetta dove affaccia anche casa sua. Accanto c’è un altro piccolo edificio con una specie di portici a forma di arco alla base, sotto i quali c’è la macchina di mia madre. Mi giro intorno. In effetti è vero, è l’unica vettura che si vede in quel quadrilatero di case antiche, e non c’è altra anima in giro. Sarà poi per l’orario, sono le 11 passate da un pezzo, ma non c’è neanche alcuna luce accesa dietro le persiane, peraltro tutte chiuse.
Sembra come se ci fossimo solo io e lui, in quel pezzo di mondo. E la cosa ora cominciava a destarmi qualche dubbio, se mi piaceva o meno. Se volevo ancora trattenermi, o andare via.
No, a questa domanda onestamente io non ero preparata.
«Te l’ho detto quando eravamo al supermercato» mi fa Manuel, dopo aver notato che mi giravo intorno «qui sono in pochi, e vanno a letto presto… Beh, come è andata la gita senza casco?».
Mi accarezzo i capelli, cercando di sistemarmi almeno la frangetta. «È stata divertente…» ammetto, mentre lui mi sorride. «Sì, è stata divertente».
«Ne ero certo. La moto fa spesso questo effetto, specialmente se è la prima volta che ci sali sopra» commenta mentre dà un paio di botticine al sedile. «Lei è fantastica, non mi delude mai».
«In che senso non ti delude mai?»
«Ognuno di noi ha delle aspettative, no? Ecco, ero certo, appena ti ho invitato a salirci sopra, che alla fine avresti avuto questo sorriso qua» termina indicandomi.
Io rimango immobile, mentre lui mi passa accanto. Non so cosa dire, so solo che non posso fingere di essere stata bene. Con gli anni, però, ho imparato anche a rispettare i silenzi. D’altronde a volte sono necessari, e non si fa dispiacere a nessuno se in qualche momento si rimane senza aprire bocca. Chiamatela difesa, chiamatela ansia, chiamatela strategia, ma io in questi momenti preferisco non dire nulla.
Sento poi un rumore di chiavi. Manuel le ha appena estratte dal suo borsello. Sono momenti rapidissimi che in realtà vorrei congelare, proprio mentre lui cammina verso il portone di casa. È un portone alto, rivestito in legno, con le sagome di due leoni con in bocca un anello al centro delle ante. Lui però non si gira, sembra noncurante di avere una donna, a pochi metri, che lo osserva con una certa agitazione. Perché in un modo o nell’altro questa serata dovrà finire, e io dovrò prendere una decisione che mi potrà dare la gioia di una soddisfazione, la rabbia di un rimorso, o la serenità di un’accettazione. Che succeda qualcosa, oppure che ci sia un rifiuto, oppure che non succeda assolutamente nulla… in ogni caso, niente potrà essere come prima.
Manuel è ormai davanti al portone. Infila la chiave nella toppa e lo spinge in avanti. Scorgo, qualche passo più indietro, un ingresso debolmente illuminato. Forse una di quelle abitudini antiche, di lasciare una luce accesa in casa quando i padroni non ci sono, che evidentemente è stata conservata anche dalla sua famiglia.
Pur rimanendo distante, una zaffata di odore di umidità, di cantina, mi cattura le narici. Con la testa e lo sguardo cerco di curiosare oltre l’ingresso, e vedo che in fondo c’è una scala che porta ai piani superiori e, a sinistra, un piccolo divano e una scultura in marmo raffigurante una donna, in cima a una colonna, anch’essa di marmo.
Manuel a questo punto si gira. «Allora, ragazza dai capelli scompigliati… che fai, vieni su?»
In quel momento la situazione delude le attese. Perché sebbene me lo aspettassi, a differenza di quello che capita nei film importanti, di quelli che magari vincono anche dei premi prestigiosi, non vedo nulla. Non si attiva, nella mia testa, quel flusso di immagini rapidissime dove davanti ai miei occhi, all’improvviso, ripasso tutta la mia vita, le immagini di Francesco da piccolo, appena nato, o di Maurizio mentre mi prepara la cena.
Niente. Vuoto totale.
Ma forse la mia vita non è un film. E davanti ho la pura realtà. Davanti c’è Manuel, che attende una risposta.