La cosa affascinante di agosto a Roma, in alcuni quartieri, è che di notte i rumori hanno una strana vita.
Sono amplificati.
Provate ad ascoltarli, rimanendo in attesa davanti a un ristorante con dei tavoli all’aperto. Quante volte sentite il ticchettìo delle posate sulla porcellana dei piatti? O affacciatevi alla finestra di casa: si sente qualche vicino parlare al telefono come se fosse nell’altra stanza, oppure l’acqua che goccia da un irrigatore automatico di un terrazzo, il rumore delle cicale, una serranda che si srotola. Fa anche molto caldo.
A me però il silenzio misto al dolce frastuono di questi rumori i mette un po’ d’ansia. Non so perché (ed è ciò che mi inquieta di più) ma a me tutto questo fa pensare che sono stanco. Che bisogna fare un ultimo sforzo prima di arrivare ad avere una pausa. Che negli ultimi giorni di lavoro abbiamo il fiatone anche se stiamo comodamente seduti al nostro desk.
Che poi, in quanti lavorano senza andare in ferie.
Pare che sia una cosa che si può fare. Fattibile, insomma, se qualcuno ti dice di farlo o se quella è l’unica via per fare “qualcosa”.
Allora, forse, ci sarebbe un po’ da imparare.
Che le pile si possono ricaricare anche in ristrettezza di tempo. E che i rumori d’estate, non sono poi così antipatici.