Quando ti trovi la mattina presto al Ghetto di Roma, non fai altro che immaginare. Com’era qualche secolo fa, il Portico d’Ottavia. E i vari mercati. Tanta gente.
E poi molto tempo dopo. La seconda guerra mondiale, la deportazione, i nascondigli.
Il Ghetto, quello che c’è dietro lo struscio della via principale, è tutto, un nascondiglio. Cunicoli, lanterne, porte di legno con catenacci. Grate. Piazzette con fontane (o fontanelle). Non è fatto per perdersi, non è come Trastevere. Il Ghetto ha un non-so-che di mistero, un non-so-che di ignoto, che forse è sempre appartenuto a questo piccolo quadrilatero di viottoli.
E che non si scoprirà mai, altrimenti non sarebbe più il Ghetto. Si comprende solo che, di lì, è passata tanta storia, continuamente.
L’unica cosa certa è l’aria che si respira. A parte il vento umido di stamattina.
Ma sarà perché è Roma. Sarà perché è il Ghetto.
Eppure il cibo non manca mai.
Pizza bianca calda, dolci alle mandorle, carciofi alla giudia. Il profumo di una cucina sempre accesa ti accompagna per tutte quelle stradine strette, fin dalle 10 di mattina.
E ti fa compagnia.