Sto guardando, con tutta la concentrazione possibile, la puntata di oggi di House of Cards. Per chi non lo segue, è la storia di un certo Underwood (Kevin Spacey) e di sua moglie (Robin Wright) che diventa (il primo) presidente degli USA e che, dopo varie vicissitudini, si trova in campagna elettorale per la conferma.
Durante le primarie rimane l’unico a “correre”, in quanto la sua sfidante si ritira.
E ora è testa e testa con il rivale dell’altra corrente politica. Dove tutto si gioca sulla scorrettezza verso l’altro candidato. Molto, in questa puntata, ruota intorno alla privacy, e alla possibilità che i candidati possano conoscere i dati riservati (e i comportamenti) degli elettori.
Questo è quanto. Ma House of Cards adesso può attendere.
A me invece viene da pensare a quando mi sono laureato, nel lontano 2002. E il titolo della mia laurea era “Il trasferimento transfrontaliero dei dati personali”, compresi quelli che viaggiano su internet, online, da un paese all’altro.
Una figata, sebbene il titolo sembri quasi una medicina da prendere dopo una gastrite.
Però… ad essere sinceri, mi ricordo di quando, da piccolo, volevo fare l’agente segreto. Tipo CIA, o qualcosa del genere.
Chissà perché.
Ma, infatti, perché in Italia il tema “privacy”, inteso al contrario ovviamente, è così importante? Perché amiamo così tanto farci i fatti degli altri? Perché siamo una moltitudine, su facebook, pur di vedere non tanto le foto, ma le curiosità, stanare i segreti, intercettare il “non detto”?
Questo è un mistero, profano, che appartiene alla nostra cultura di italiani.
E non so se può essere un vanto, anzi, un po’ mi spaventa.
Perché in questo io ci vedo poca libertà, da parte di chi non può evitare di vivere in funzione dei segreti degli altri.