C’è solo un attimo, un frammento di tempo quasi impercettibile, dove io sono bravissima. Prendo aria, chiudo gli occhi, e lascio libero il pensiero in preda alla più totale follia.
Lo so. Nella vita reale non mi appartiene poi così tanto. Altrimenti anch’io sarei stata molto più imprevedibile in tante occasioni che mi hanno semplicemente travolto, e dove il mio desiderio più intimo, più profondo, era quello di… sì, lo ammetto. Quello di osare.
Invece, no. Passo spesso dall’osare al guardare.
Il tema non è però il banale “lasciarsi andare”. È qualcosa certamente di più selvaggio, e legato a una situazione che, magari all’improvviso, a volte in modo del tutto programmato, puff, trova spazio nella vita reale. E tu dovresti rispondere, agire a tappeto.
Invece, eccomi qua, in questo attimo limitato, ben definito, compresso in pochi metri di altezza.
4 piani di ascensore.
Quanti saranno, 4 piani di ascensore? 12 metri? Forse qualcosa di più? E quanto tempo sarà? Credo 4/5 secondi, compreso l’arrivo rallentato dell’ascensore al piano, motivo per cui è scritto in tutte le salse, fin da quando si varca il portone del condominio e si entra nell’androne, che “bisogna attendere il completo arresto dell’ascensore prima di aprire le porte”.
Evidentemente non tutti arrivano a comprendere che, a volte, non puoi decidere come ti pare, ma è qualcos’altro che ti dà il segnale di andare avanti.
Perciò, io, almeno in quei 4 secondi voglio provare a essere padrona della mia vita. A pensare a colori, spazi, sorrisi… a tutto ciò che andrebbe a conferire a ciò che mi sta attorno un aspetto di… beh, lo devo dire. Un aspetto di passaggio.
Di novità?
Ok, va bene. Di novità.
Ma sono quasi le 7 di sera, ho i tacchi, la borsa su una spalla, le chiavi nella mano sinistra e la busta della spesa nella mano destra. Classica donna italiana, quarantenne (41 per l’esattezza), che torna a casa dopo una giornata di lavoro. E che passa appunto 4/5 secondi della sua vita a immaginare l’imprevedibile. A sognare il nuovo. Che sia Angelo o Diavolo, poco importa.
Ma io, appunto, sono la classica donna italiana.
Perciò passano i secondi, i piani in ascensore, il rallentamento, il segnale, l’apertura delle porte. Poi, sul pianerottolo, altri pochi passi. Pochi passi che mi congelano tutto quello che avevo vissuto attimi prima: la rinascita, la nuova vita, i nuovi colori.
Infine, mi ricompongo. Sospiro un attimo, e allungo il braccio tenendo la chiave verso la toppa.
Ed è lì che tutto accade. Ciò che avevo sognato, e che mi si era congelato sul marmo del pianerottolo, mi si frantuma in mille pezzi. Come un blocco di ghiaccio sfregiato da una pugnalata.
No, ancora nessun segnale effettivo. A me basta il pensiero di ciò che accadrà di lì a poco.
Sarò stata anch’io responsabile di tutto questo? Forse. Ma non credevo che sarebbe andata a finire così.
Cosa mi attende oltre quella porta?
Lo so già.
Schizzo (il Lhasa Apso che abbiamo da 4 anni) mi si fionderà addosso cercando di arrampicarsi su per il ginocchio, Francesco (mio figlio di 7 anni) urlerà da camera sua “Mammaaaa!” con un’espressione di gioia che vorrei mangiare a morsi per quanto mi fa felice, e Maurizio (mio marito) tornato prima da lavoro (mi ha persino mandato un messaggio per informarmi, e per dirmi che avrebbe rispedito la babysitter a casa prima del solito) che mi verrà incontro dicendomi “Hai fatto la spesa? Ma avevo pensato a tutto io!…”.
E pare strano, lo so, ma se la candida immagine di mio figlio che urla a squarciagola “Mammaaaa!” mi commuove ogni volta che la sento, del benvenuto di Schizzo e, soprattutto, del gesto affettuoso di mio marito (neanche troppo insolito conoscendo le sue abitudini) onestamente, ne farei davvero a meno.
Ma non solo oggi.
Ne avrei fatto a meno già da tempo.
E quello che un po’ mi preoccupa, ma che alla fine mi fa vivere quei 4 secondi di completa farneticante immaginazione nel viaggio in ascensore, è che non solo non so da quanto tempo ne avrei già fatto a meno.
Ma che ne farei a meno anche la prossima volta che so che accadrà.