Sono tornato a casa da poco dopo una lunga chiacchierata insieme a un mio caro amico, conosciuto anni fa grazie a un’esperienza di lavoro all’estero. Lui, che di lavoro (per rimanere volontariamente vaghi) fa l’uomo “internazionale”, mi parla spesso di quanto sia bella la vita lontana dal nostro paese.
E questo entusiasmo, ogni volta che incontro il mio amico, lui me lo trasmette come se fosse la prima volta che mi parla del suo lavoro o della sua vita (sebbene ne ha tante, di gatte da pelare fino all’osso).
Ma il problema è un altro.
Perché alla fine, con gli occhi che ormai mi si chiudono e il pensiero fisso alla sveglia di domani, esattamente fra 6 ore, ho giusto qualche rimasuglio di forza per chiedermi:
- se noi italiani dobbiamo, per qualche motivo culturale, essere legati per forza al nostro luogo di origine. Da cui, perciò, non c’è modo di muoversi. Come una mano invisibile che ci afferra e ci costringe a rimanere immobili;
- se è vero che gli italiani si sanno adattare meglio di tanti altri a situazioni difficili, e allora perché – continuo a chiedermi – non mettono in pratica questa dote andando con più determinazione fuori dai propri confini;
- se gli italiani sono banalmente legati al concetto di lavoro a tempo indeterminato e, dovunque questo si trovi (ovviamente in Italia), si decida di mettere radici (vanificando così alcune nostre qualità da esportare – da quelle creative a quelle intuitivo-organizzative – che ci farebbero brillare ovunque).
Non saprei.
O forse sì. Magari io una mezza risposta ce l’ho.
So infatti che i tempi e i modi stanno cambiando. Che molta gente scappa via, senza aspettare ricette miracolose dei nostri politici (chiunque essi siano).
So anche che se si trova un lavoro a tempo indeterminato vicino alla famiglia, tutto ciò è “meglio” rispetto a qualsiasi altra soluzione.
E so infine (o, almeno, immagino di sapere – ma questo vale anche per gli altri due punti di cui sopra -) che i tempi italiani sono “biblici”, tranne per le cose che si vogliono fare davvero.
Che poi, molte di queste cose, spesso sono semplicemente delle magagne, dei favori da fare o altri da ricevere.
Per quelli sì, non c’è mai tempo da perdere. Per risolvere un problema già accaduto o fare qualche favore a qualcuno, gli italiani sono dei maestri.
Tanto che gli altri, vi assicuro, provano anche a copiarci. E a dir la verità, ce la fanno pure.
Ma poi noi troviamo sempre un nuovo modo per eccellere.
Per essere davvero un paese di “riferimento”.
. Capisco bene il tuo amico avendo avuto una esperienza simile. L’Italia è la patria della disincentivazione, dovessi raccontarti che cosa non ho fatto per fare qualcosa di costruttivo, smosso mari e monti, ma non è mai successo nulla, nulla in nessun campo. E’ una paese “maledetto” sotto questo aspetto e spero di non dovermene andare in posizione orizzontale senza aver realizzato prima le tante cose che ho nella testa, è deprimente questo paese, deprimente. La verità è che siamo paralizzati perché già nasciamo in svantaggio rispetto ad altre nazioni. L’abbrutimento nasce nelle nostre famiglie, dove se hai la sfiga di nascere in zone popolari sai che non potrai mai elevarti perché non te lo permetteranno ed è vero quel pensiero da piccolo borghese di aspirare al posto a tempo indeterminato perché se osi camminare da solo te la fannop scontare qua, diciamocela tutta che questo è un paese che vuole dei sudditi, non dei cittadini orgogliosi. E’ una paese razzista e classista, involuto, ritornato indietro di 100 anni negli ultimi 20 anni. Io vedo la grande differenza tra qua e quando si va fuori, e’ nella testa che qua purtroppo funziona a compartimenti stagni. Chi riesce di solito non è per la forte motizivazione, diciamocela tutta servono gli “sponsor politici”, quelli che riescono per meriti personali si contano su una mano. No guarda, mi spiace ma capisco chi mira al posto fisso, sa di non avere chance qua e francamente me ne frego del sole e dell’arte se poi tutto è fermo ed involuto. Siamo morti, guardati intorno quando vai in giro per Roma, sembra una città fantasma, la gente camminare senza vedere dove sta andando, gli sguardi sono vitrei, senza sorriso. E’ come se ci fosse dentro ognuno di noi quasi una voglia malsana di morire perché sappiamo che non c’è speranza.
Grazie per il tuo commento Paola! 🙂