Minirotaie

Regarding life course and its intersections

Colonne 2

Una volta ho sentito dire, riferendosi a una mia amica, che quella donna era “un bel vestito sopra una stampella”.

Potevo essere d’accordo o meno, non è questo il punto. Mi chiedo invece quanto sia facile, davvero, capire cosa siamo sotto sotto. Se si toglie tutto, i pensieri, la paura del giudizio altrui, il timore di essere abbandonati, o quello di deludere, o magari persino di piacere troppo, o per nulla.

Al netto di tutto questo, cosa resta?

E non si tratta solo di comprendere, ma anche di trasmettere. Altrimenti il grande sforzo per scoprirci sarebbe solo un vano tentativo. Forse allora ci serve un vestito in più, magari trasparente.

La forma allora è proprio tutto quello che ci serve per salvarci?

Se avessi questa risposta, a volte sarei solo ragione, e poco sentimento. Perché anche la paura, come la gioia o l’ansia, è un’emozione che tocca il nostro cuore.

Anche questo è il “fa’ come ti senti” che sconvolge un vestito. Lo muove, lo agita, lo strappa.

Se però la struttura sotto regge, non c’è emozione che possa troppo scalfire, disorientare, smarrire, trascinare alla deriva. Spaventare.

E’ il bello di lasciarsi andare o di immobilizzarsi scoprendo che, poi, alla fine si rimane in piedi.

La cosa figa della Pasqua è che mi sento titolato a mangiare quanta cioccolata voglio. Al latte, fondente, ripiena.

Poi  mi viene mal di stomaco, i brufoli, le afte.Retro chiesa comp

Ma almeno ho il sorriso.

Però so bene che la Pasqua è tanto altro, fatemi essere anche spirituale. O almeno ci provo.

 

Perché la Pasqua merita il mistero, merita la sorpresa. Merita la scoperta. Perciò che Ingresso chiesa compfaccio, all’improvviso. Torno dal lago di Vico, dove ho fatto il mega pranzo con la mia famiglia e vedo qualcosa che mi attira. Sembra interessante, pur essendo abbandonata. Solo che è nel bel mezzo di un recinto, forse perché è pericolante.

Anzi no. Penso che sia davvero pericolante, visto che da fuori sembra completamente diroccata.

 

Perciò, evviva l’ignoto. Mi avvicino al recinto, mi guardo intorno, e scavalco. Faccio il giro, Fronte chiesa compcammino con attenzione evitando rami pieni di spine, e comincio a fotografare. Prima da lontano, poi da più vicino. Entro dentro. Non mi sento molto a mio agio. Non sono abituato a scavalcare porte chiuse arrugginite per andare a vedere qualcosa di nuovo… Mi sento in un posto dove non dovrei stare. La cosa mi fa godere poco il tempo, tanto che avverto una leggera ansia.

 

Però mi ricordo che è Pasqua. E che tanta gente è ancora a tavola a ingurgitare calorie e ad Interno chiesa 2 compallargare l’intestino.

Quindi continuo.

C’è una trave appoggiata in diagonale, chissà perché. Alzo gli occhi e vedo il cielo. Mi giro, e mi accorgo che è rimasto solo un pezzettino di tetto. Il resto deve essere crollato.

Poi, in tutto quel silenzio assolato, in quel verde che si mangia i mattoni abbandonati, c’è anche un angolo vivo, colorato, e sigillato.

Interno chiesa comp

Allora mi ricordo ancora una volta in più che è Pasqua. E che è qualcosa di prezioso.

 

 

P.s.: quando sono rientrato in macchina, e ho dato un’occhiata alle foto che ho fatto, ce Ingresso compn’era una che aveva preso immediatamente la mia attenzione. Nel tenere la macchina appena al collo, inavvertitamente l’ho fatta sbattere  sul cancello di ferro che ho scavalcato. E… La macchina ha scattato, immortalandomi. Tutto ciò mi fa sentire simpaticamente reo.

Io ci sono stato in Ecuador. E ci ho vissuto per mesi, per poi tornarci più volte.

Potrei quindi dire che bisogna seguire alcune regole, che probabilmente in paesi più sviluppati non sono poi così necessarie. O almeno non sempre.  Del tipo: mai andare in aree estese (tipo spiagge) quando non c’è nessuno, non camminare di notte in giro per città o paesini da soli, ma sempre in taxi (visto il loro costo irrisorio). Avere sempre qualche spicciolo in tasca (una decina di dollari, o l’equivalente). Questo perché, qualora davvero qualcosa di brutto dovesse accadere, almeno si ha qualcosa da dare.

Perché i soldi, con i poveri, fanno sempre tutto. Bastano appunto 10 dollari.

Anche se, è scontato, non sempre è così.

E’ un discorso di cultura. In Ecuador (perché è l’unico posto dove sono stato) se sei donna (e non necessariamente carina, ma a volte non serve neanche questo) e passeggi di giorno per una qualsiasi strada, peggio ancora se affollata, ti dicono delle frasi molto carine tipo “Non vedo l’ora di trombarti” o, se per caso hai un seno un po’ rotondo, ti dicono “Ma che belle tette che hai, voglio proprio massaggiartele!” (e sono stato leggero).

Sì sì, vi giuro che succede proprio questo. Le donne passeggiano, e gli uomini prima se le guardano, e poi sparano questi commenti. Alcune reagiscono con qualche frase di offesa, altre tirano dritte.

E i ragazzini? Anche quelli ci si mettono. Sì, quelli che vanno a scuola, tipo alle medie… Sapete che fanno? Si mettono dietro alle stesse donne (se carine, appunto, poco importa) e fanno dei gestacci volgari… Così, per divertirsi. Per prenderle per il culo. Per far valere l’idea di chi comanda, nella loro società.

Ecco, questo avviene nei centri più “abitati” (penso a Quito, o a Guayaquil) o in qualche provincia con un po’ più di gente. Nelle piccole comunità, specie quelle andine (che comunque sono più calme… penso a Otavalo, famosa anche per un mercato tessile), è più difficile, perché si conoscono tutti.

Ed è, appunto, un discorso di cultura. Un discorso di attenzione, e di regole.

Ecco, è impossibile pensare che quelle due ragazze argentine se la sono cercata. Perché è bello, ed importante, sentirsi liberi. Sentirsi libere. E nessuno ha il diritto di stuprare e uccidere. Ci mancherebbe.

Ma l’importante è sapere, sempre (o quantomeno spesso) con chi si ha a che fare. E non è un tema di “come si va vestiti”. Il tema è quello che si fa. Il tema è “avere sempre 10 dollari in tasca” e, per le ragazze (perché a me nessuno mi violenta), fare attenzione con chi si parla. E, se non lo si può sapere, fare ancora più attenzione.

Sorriso

“Io non chiedo molto”.

Spesso questa frase ci salta in testa. Spesso è il minimo sindacale che pensiamo di meritare. E visto che si tratta del “minimo”, visto che pensiamo di meritarcelo, non può non esserci. Non possiamo non averlo.

Ora, non so se questa è una filosofia giusta. Forse si rischia di finire con l’accontentarsi e basta. Oppure, forse questo è il modo per avere qualcosa. E magari un domani avere anche di più.

Ma al di là di tutto, questi pensieri possono essere comunque pericolosi, perché ci fanno distogliere l’attenzione verso ciò di più semplice e bello, che ci fa venire un sorriso. Che ci fa dire “figo!”, che ci fa pensare che le sorprese, quelle che meritano di essere gustate, anche solo per un secondo, esistono e, in qualche modo, devono essere ricordate.

Ci pensavo l’altro ieri, quando me n’è capitata proprio una, di queste cose.

Ecco, io non so quante possono essere, queste “sorprese” o, più semplicemente, queste piccole gioie della vita. Ma penso che sia utile ricordarmele, con la speranza che la lista vada crescendo momento dopo momento, tempo dopo tempo.

Eccole:

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Mettere a posto casa non serve solo all’ordine mentale. Serve anche a trovare ciò che la casa ti ha nascosto fino a quel momento. Un documento, un libro. Qualche soldo…

E poi a un tratto scopri di trovare anche una lista che avevo fatto, chissà per quale motivo, tempo addietro, su un pezzo di carta qualsiasi. E di cui non ti ricordi neanche come sei arrivato a farlo.

Perché arrabbiato, in realtà, non ero. O per lo meno non me lo ricordo. E generalmente mi arrabbio anche poco, io. Semmai mi disinteresso. Quindi non so perché ho tirato giù questa lista.

Evidentemente mi sarei arrabbiato di lì a poco.

Tanto che il fatto che io non mi ricordi bene tutto ciò, mi rende abbastanza nervoso. Allora questa lista capita a fagiolo.

Il titolo è: “Come attenuare la rabbia”.

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