Minirotaie

Regarding life course and its intersections

Sogno Mi manca un insieme. Una musica dolce, una cover di una canzone famosa suonata solo con una chitarra acustica.

Un ambiente con una luce tenue, una camera da letto con il letto non rifatto, e una piccola struttura all’angolo con sopra un vaso dove metterci dell’acqua, e lavarsi al mattino.

Il sole fuori che non scalda troppo, ma che ti chiede di uscire.

E poi il tempo che si ferma, che dice che va bene così, qualsiasi cosa accada. Infine l’idea che ci può essere un momento per tutto. Per scegliere ciò che fa più bene.

Mi manca forse “il” sogno, ma probabilmente è tutto ciò che mancherebbe sempre, altrimenti non sarebbe tale, e soprattutto non ci sarebbe qualcosa a cui ambire. Ma penso che se poi maturiamo un’immagine, poi ne maturiamo un’altra, infine un’altra ancora… Allora basta cercarle, e imparare a mettere insieme tutto.

Premesso che sono cattolico. E premesso – cosa ancora più incredibile – che sono praticante. Ora, fermo restando che il concetto dell'”essere praticante” è diventato abbastanza “soggettivo”, qui in realtà si parla del problema dell’Amore.

Non credo sia possibile definire il tema Amore con una legge.

Non credo neanche che sia possibile convivere (nel senso più ampio del concetto di convivenza) senza una legge.

Il punto è, ed è sempre ciò che mi ha accompagnato durante tutti questi anni, se l’omosessualità è un vizio, o una propensione genetica.

Perché se si tratta del primo punto (e io penso di averne conosciuti, così) allora è una questione di educazione. Di serenità mentale. Di approccio alla vita.

Ma se si tratta del secondo punto (e io penso di averne conosciuti altri, così) allora è una questione di scelta di animo. Di coscienza.

Una legge non può privare dell’Amore.

E’ giusto? E’ sbagliato?

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Mi ricordo di quando, in una lezione di comunicazione di crisi di tanti anni fa, il professore ci spiegò che, per un’azienda che aveva attraversato un momento di forte difficoltà che aveva disintegrato, in pochi giorni, la reputazione costruita in anni, si poteva fare solo una cosa.

Sparire. Stare in silenzio per un po’.

E poi cambiare nome.

Eppure c’erano le stesse persone che ci lavoravano. Magari anche lo stesso amministratore delegato. Forse anche lo stesso modo di fare impresa. Ma… con un nome diverso, il risultato era che il cambiamento era stato fatto, e quell’azienda era… un'”altra azienda”.

Allora è la stessa per le persone fisiche, come per le persone giuridiche? Così dovremmo fare noi, se volessimo davvero inseguire il cambiamento radicale della nostra vita?

Distruggere, e farlo con volontà, consapevolmente. No, non sto parlando di uno tsunami che arriva, che ti travolge.

Sto dicendo che quello tsunami è indotto da una strana forza a cui non vogliamo più dare controllo.

E poi risorgere. Ricominciare.

Questo, forse, è il vero cambiamento.

Questo, forse, è scoprire davvero che siamo inesauribili, che la vita cambia a prescindere dall’età. Dal tempo che sfugge. Dalle opportunità che esistono solo “fino a un certo punto”.

La paura manca quando non c’è nulla da perdere.

Ma ancora di più, quando si sa che, a prescindere da quello che succede, tutto andrà bene.

Mia comp

Gli occhi non possono sempre essere aperti. Guardare, vigilare. Controllare. Soprattutto confessare.

Gli occhi possono far parlare l’anima. Ecco perché detengono sempre un segreto inconfessabile. L’anima, è un segreto inconfessabile. Non è una questione (solo) di luce, è una questione di quale parte, della tua vita, meritano di vivere gli altri.

Allora la scelta non può essere immediata: adesso o mai più, a te o a nessuno, amico o nemico. Ma non si tratta di fare “selezione”. E’ più che altro ciò che tu pensi di voler condividere.

E’ una presa di responsabilità.

Sì: gli occhi, uno sguardo, il loro assottigliamento, una lacrima. E’ tutto lì, in quel momento che sfugge, che non può essere controllato, che non è solo un “dono”.

Spesso è qualcosa che semplicemente è più grande di te.

Forse è troppa gioia? Forse è troppa paura?

Aprire gli occhi non costa. Costa invece chiedersi se ne vale la pena, e poi prenderne atto.

 

Nota.

La modella della foto è Mia Cardella, la foto l’ho scattata durante il workshop tenuto dalla scuola Associazione Archeo Foto Grafica

Bignè comp

“Chiamatemi romantico, chiamatemi sentimentalista” (cit.).

Chiamatemi come vi pare (questa è mia).

Ma se fuori c’è il sole, il cielo è terso, l’aria è (finalmente) pulita… La domenica mattina così, io non la cambio con nient’altro. Servono colori, sapori, e la giusta dose di tempo per fare tutto quello che serve. E non importa allora cosa sarà domani, se esiste qualcosa chiamato lunedì, se il pomeriggio della domenica è solo la noia dell’attesa.

Ieri, quando ho preparato i bignè, non sapevo che stamattina sarebbe stato così. E mi sento grato per questo. La gratitudine è qualcosa che deve uscire dai formalismi, ed entrare in ciò che riconosciamo di aver bisogno.

E il bisogno, molto spesso, lo vediamo quando si manifesta.

C’è un modo per conoscerci fino in fondo? Dire “Sì, io so molto bene quello che voglio, quello che potrò volere domani”?

Io credo di no.

E credo che questa sia la “magia delle cose”.

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